Alimenti cotti e il loro mantenimento in caldo

Alimenti cotti e il loro mantenimento in caldo: cosa deve fare l’OSA alla luce dell’abrogazione del DPR 327/80?

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Alimenti cotti e il loro mantenimento in caldo

Alimenti cotti e il loro mantenimento in caldo: quali sono gli obblighi per l’Operatore del Settore Alimentare alla luce dell’entrata in vigore dei provvedimenti che hanno “mandato in pensione” i riferimenti per eccellenza degli addetti ai lavori?

Ci riferiamo al D. Lgs. 27/21 che ha abrogato la legge 283/62 e il relativo regolamento di esecuzione DPR 327/80.

Il D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 27, è stato poi modificato dal D.L. 22 marzo 2021, n. 42. Con l’art. 18, comma 1, lettera d) è stata disposta l’abrogazione del DPR 327/80, fatta salva l’applicazione delle disposizioni di esecuzione degli articoli 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 12-bis, 13, 17, 18, 19 e 22 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni.

Il D.L. 42/21 è stato fondamentale e necessario per evitare l’abrogazione dei reati della Legge 283/62 (condizione che si sarebbe verificata con l’entrata in vigore del D.Lgs. 27/21).

Nella predisposizione delle procedure di autocontrollo noi tecnici abbiamo sempre citato l’art. 31 del DPR 327/80 che prevedeva quanto segue:

Gli alimenti deperibili cotti da consumarsi caldi (quali: piatti pronti, snacks, polli, etc.) debbono essere conservati da + 60° C a +65° C.

Alla luce dell’abrogazione del DPR 327/80, come deve comportarsi l’OSA nella gestione del legame caldo senza perdere di vista l’approccio preventivo che costituisce il cuore del metodo HACCP?

Cosa deve fare l’OSA a seguito dell’abrogazione del DPR 327/80?

Personalmente, ritengo di poter considerare abrogato l’articolo 31 del DPR 327 in quanto la gestione delle temperature dei piatti cotti non rientra nelle disposizioni degli articoli “salvati” dal D.L. 42/21.

Premesso questo, è importante a questo punto trovare un nuovo riferimento per poter supportare l’OSA nella corretta gestione di questo aspetto e nella predisposizione di procedure adeguate.

Come abbiamo detto tante volte nelle pagine di questo blog, il riferimento in materia di igiene degli alimenti è il Reg. CE 852/04. In particolare, al capitolo IX punto 5 leggiamo:

Le materie prime, gli ingredienti, i prodotti intermedi e quelli finiti, in grado di consentire la crescita di microrganismi patogeni o la formazione di tossine non devono essere conservati a temperature che potrebbero comportare rischi per la salute.

Non vengono forniti valori di temperatura né di tempi di esposizione del prodotto a quella temperatura. Come fare dunque per orientarsi?

Del resto, con l’entrata in vigore del “pacchetto igiene” è risultato evidente agli addetti ai lavori un importante cambio di approccio rispetto al passato.

Il Reg. CE 852/04 non ci fornisce valori di temperatura ma, in buona sostanza, “trasferisce” all’OSA la responsabilità di decidere qual è la cosa giusta da fare per garantire la salubrità degli alimenti somministrati. Fortunatamente, la letteratura scientifica viene in aiuto all’OSA e ai suoi consulenti tecnici.

A tale proposito cito un documento utile come riferimento. Si tratta del parere scientifico dell’EFSA pubblicato nel 2018: “Hazard analysis approaches for certain small retail establishments and food donations: second scientific opinion” che potete scaricare al link:

https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2018.5432

L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare a pagina 21 del documento citato riporta che i piatti cotti, qualora mantenuti a temperature superiori ai 65°C, possono essere consumati fino a 4 ore dopo la cottura. in questo documento abbiamo ritrovato un valore di temperatura a noi familiare!

Possiamo concludere, quindi, che in assenza di un valore fissato per legge, è auspicabile che l’OSA si faccia guidare dal buon senso, dall’esperienza, ma soprattutto dalle indicazioni presenti in letteratura.

Se hai bisogno di assistenza nella predisposizione della documentazione tecnica aziendale, contattaci! 🙂

4 Commenti. Nuovo commento

  • Se ad una mensa distribuiscono la carne ad una temperatura palesemente inferiore ai 65°, (circa 25°) praticamente fredda, cosa c’è da fare e quali sono i rischi dei commensali se la consumano a quella temperatura.
    Grazie anticipatamente.

    Rispondi
    • Roberta De Noia
      16 Marzo 2024 18:11

      Buonasera sig. Salvatore, un alimento mal conservato va incontro alla proliferazione microbica e l’entità di tale proliferazione dipende da diversi fattori tra cui ricordiamo: la temperatura stessa (quanto più tale valore è vicino all’optimum di crescita dei microrganismi tanto più la crescita stessa è favorita), il tempo di esposizione dell’alimento alla temperatura scorretta (maggiore è il tempo di esposizione, più elevata sarà la carica microbica), le caratteristiche chimico-fisiche dell’alimento (pH, composizione, disponibilità di acqua, ecc.).
      In generale, le malattie a trasmissione alimentare provocano nella maggior parte dei casi disturbi gastrointestinali, con conseguenze più severe nelle categorie più sensibili della popolazione (anziani, bambini, soggetti immunodepressi). Nel mondo della ristorazione collettiva (che si tratti di ristorazione sul luogo di lavoro, nelle scuole, negli ospedali o nelle collettività in genere) solitamente è sempre nominata una commissione mensa alla quale gli utenti del servizio possono rivolgersi per segnalare problematiche di varia natura. Le suggerisco di rivolgersi al vostro referente interno. Se le segnalazioni verbali non portassero a niente, può sempre inviare un reclamo formale in forma scritta.
      Cordiali saluti

      Rispondi
  • Faccio un lavoro che non mi consente l’essere sempre puntuale x rispettare l’orario di apertura della mensa. L’addetto potrebbe lasciare dei piatti pronti in frigo da scaldare? È possibile conoscere la normativa di riferimemto? Grazie

    Rispondi
    • Roberta De Noia
      14 Aprile 2024 9:22

      Buongiorno sig. Giovanni, fornire una risposta univoca alla sua domanda non è possibile perchè non conosco le condizioni contrattuali in essere tra l’azienda che gestisce il servizio e il committente. Ipotizzando che non sia imposto nel capitolato/contratto il divieto di preparazioni anticipate, da un punto di vista della sicurezza alimentare non è un problema, a patto che siano rispettate le norme di corretta prassi igienica e la corretta conservazione degli alimenti. Il DPR 327/80 ci forniva delle indicazioni anche in merito ai requisiti degli esercizi di somministrazione, nello specifico prevedeva all’art. 31 che: “Gli alimenti deperibili con copertura, o farciti con panna e crema a base di uova e latte (crema pasticcera), yogurt nei vari tipi, bibite a base di latte non sterilizzato, prodotti di gastronomia con copertura di gelatina alimentare, debbono essere conservati a temperatura non superiore a +4°C”.
      Come ho riportato nell’articolo, l’art. 31 però non è più in vigore e non mi risultano altri riferimenti normativi così specifici ( come nel suo caso il mantenimento di pasti preparati con anticipo). Pertanto, occorre riferirsi alla corretta prassi igienica e a tutte le pubblicazioni disponibili in letteratura.
      Le suggerisco la lettura di un documento predisposto dalla kansas State University sulle condizioni di conservazione del cibo. Troverà i valori di temperatura ottimali per le diverse categorie merceologiche. Come vedrà, in linea di massima l’intervallo di temperatura 0°C/+4°C è considerato idoneo per la maggior parte degli alimenti.
      Link alla pagina web con l’elenco completo di pubblicazioni:
      https://www.ksre.k-state.edu/humannutrition/foodstorage.html
      Link diretto alla pubblicazione che ho citato sopra:
      https://bookstore.ksre.ksu.edu/pubs/MF3130.pdf
      NB: 32°F equivalgono a 0°C

      Cordiali saluti

      Rispondi

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