CCP o PRP operativo?

CCP o PRP operativo? Come scegliere? Vediamo in questo articolo l’importanza della valutazione del rischio applicata alla specifica realtà per orientare la decisione.

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CCP o PRP operativo

CCP o PRP operativo?

Questo post è stato ispirato da una domanda di una lettrice del libro “Sicurezza alimentare nella microimpresa”, pubblicato in Kdp di Amazon il 1 dicembre 2022. Ho pensato di condividere qui sul blog la risposta che ho dato per condividerla con il maggior numero di persone possibile.

L’ho fatto perché sono sicura che lo stesso dubbio sia passato per la testa di tanti colleghi e operatori del settore 🙂

Vediamo insieme i quesiti. Prima però ripassiamo brevemente la terminologia per fare un po’ di chiarezza.

Le definizioni di CCP e PRP operativo

Alla pagina 3 della Comunicazione della Commissione europea C355 del 16.09.2022 leggiamo le definizioni:

Punto critico di controllo (CCP): una fase nella quale il controllo può essere messo in atto ed è essenziale per
prevenire, eliminare o ridurre a un livello accettabile un pericolo per la sicurezza dell’alimento. I CCP più comuni per il
controllo dei pericoli microbiologici sono i requisiti di temperatura, ad esempio le condizioni tempo/temperatura per
ridurre o eliminare un rischio (ad esempio la pastorizzazione). Altri CCP possono essere la verifica della presenza di
microlesioni nelle conserve e di pericoli fisici attraverso la setacciatura o la rilevazione di metalli o la verifica della
combinazione tempo/temperatura dell’olio di frittura per evitare contaminanti chimici derivanti dal processo di
produzione

Programma/i di prerequisiti operativi (PRPop): misura di controllo o combinazione di misure di controllo applicate
per prevenire o ridurre a un livello accettabile un pericolo significativo per la sicurezza dell’alimento e in cui il criterio di
azione e la misurazione o l’osservazione consentono un controllo efficace del processo e/o del prodotto. Essi sono
generalmente legati al processo di produzione e sono catalogati come essenziali dall’analisi dei pericoli ai fini del
controllo della probabilità di introduzione, di sopravvivenza e/o di proliferazione di pericoli per la sicurezza alimentare
nei prodotti o nell’ambiente di trasformazione.

Riportate le definizioni, passiamo ora ai quesiti specifici e scopriamo come possiamo orientarci nel considerare una determinata fase del processo un CCP o un PRPop.

Come scegliere

D. Se analizzando una fase del processo mi domando “i PRP descritti sono sufficienti per sorvegliare il rischio identificato?” e a questa domanda rispondo “si”, allora mi trovo di fronte a un CP, è corretto?

R. Nell’ambito della predisposizione del manuale di autocontrollo HACCP l’operatore del settore alimentare (OSA) descrive i PRP (prerequisiti) da attuare nell’operatività aziendale. In riferimento ad una determinata fase del processo, se i PRP sono sufficienti per controllare i pericoli, allora siamo di fronte a un CP. Se alla domanda “i PRP sono sufficienti…” rispondo “NO”, allora siamo di fronte a un PRP operativo o a un CCP. L’individuazione di uno piuttosto che dell’altro (CCP o PRPop) dipende dal livello di rischio (si veda valutazione del rischio semiquantitativa pag. 48 della comunicazione della commissione C 355). Ad esempio, se in una fase successiva a questa che chiamo FASE A ce ne fosse un’altra che chiamo FASE B che può eliminare o ridurre il rischio, non metterei il CCP alla fase A.

D. Ad esempio: lo “stoccaggio espositivo” dei prodotti deperibili sul banco (es. carne o pesce) avviene a temperatura di refrigerazione. in questo caso, questa fase è considerata un CCP, un CP o un PRP operativo?

R. Come ho riportato nel libro, non esistono risposte “universali” nel definire una fase di stoccaggio refrigerato un CP, un PRPop o un CCP. Tutto dipende dalla specifica realtà. Nell’esempio che citi sull’esposizione sul banco di carne o pesce, si potrebbe considerare un CCP, ma anche un PRPo volendo. La guida nella decisione è la valutazione del rischio. Se parliamo di una piccola realtà, ad esempio, con quantitativi modesti e un “ritmo” di vendita molto veloce, potremmo addirittura pensare di mettere un CP (esempio: la merce sosta meno di 2 ore nel banco vendita). Ma ipotizzando di trattarlo come PRPo, chiedi cosa bisognerebbe fare… Direi che serve fare il monitoraggio della temperatura (lettura visiva del display dell’attrezzatura). Registrazione e monitoraggio sono due concetti diversi. Non è “scontato” avere un modulo di registrazione delle temperature. Ciò che conta nella sostanza è il monitoraggio. In un’ottica di flessibilità in un contesto di microimpresa, si può benissimo stabilire di registrare solo le non conformità.


D- Perché il rischio dello stoccaggio in banco espositivo dovrebbe essere inferiore rispetto a quello della fase di stoccaggio nelle celle frigo?

R. A questa domanda risponderei che un fattore di cui tenere conto è il tempo di esposizione della merce a quella temperatura. Se la merce viene venduta rapidamente (anche ipotizzando un rialzo della temperatura durante l’esposizione), il rischio è più contenuto rispetto al caso in cui si rompe una cella di stoccaggio alle 18:00 ma l’operatore se ne accorge alle 8 del mattino seguente (perché magari non ha un sistema automatico di monitoraggio delle temperature che ti manda il messaggio sul cellulare…). A quel punto, soprattutto se la temperatura esterna è elevata come nel periodo estivo, è verosimile dopo così tante ore che la temperatura del prodotto abbia raggiunto valori inaccettabili a tal punto da mettere a rischio la salubrità degli alimenti contenuti nella cella.

Se vuoi saperne di più, il libro lo trovi qui

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